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Debrieifing: strumento di supporto e formazione
Al rientro da una missione o in seguito ad un evento emotivamente forte, gli psicologi consigliano di incontrare un professionista per elaborare l’esperienza e trasformarla in apprendimento.
Lo strumento utilizzato in queste circostanze è il debriefing , tecnica di colloquio diviso in fasi,utile ad esplorare sia aspetti cognitivi, che emotivi legati ad un vissuto stressante. Questo strumento
risulta particolarmente utile se preceduto da una fase di briefing, momento di preparazione all’incarico, in modo da valutare la restituzione al rientro.
Il debriefing è nato come studio e valutazione della presenza o meno del PTSD ( disturbo post traumatico da stress), ma può essere utilizzato in molteplici circostanze, vissute sia in gruppo che singolarmente. In merito esistono pro e contro del tipo di colloquio, in ogni caso è importante scegliere se attuare o l’uno o l’altro in base allo scopo dell’indagine.
Sicuramente il colloquio di gruppo offre la possibilità allo psicologo di vedere quali sono le dinamiche in vivo che magari hanno determinato problematiche o esperienze importanti, mentre nel colloquio individuale è possibile scavare un po’ di più intimamente in ciò che porta la persona.
Esistono diverse modalità di conduzione , ma quella di Mitchell ( Giannantonio, 2005) è più consolidata e conosciuta soprattutto all’interno della psicologia dell’emergenza.
Il protocollo di conduzione è diviso in 7 fasi:
1. Introduzione, in cui si spiega che cos’è il debriefing, in che cosa consiste e finalità;
2. Discussione dei Fatti , in cui si ricostruiscono gli eventi attraverso le narrazioni dei diversi componenti del gruppo;
3. Discussione dei Pensieri/Cognizioni, provati durante l’evento con possibilità di confronto e apprendimento dalle diverse esperienze;
4. Discussione delle Emozioni, cosa si è provato durante le situazioni più o meno stressanti. Questa fase è quella più delicata, sia perché più intima e non tutti i partecipanti hanno voglia di fronte a sconosciuti di condividere aspetti personali, sia perché spesso manca l’educazione ad esprimere ciò che si sente. Molte persone sono brave a raccontare gli eventi, molto poche a riportare ciò che hanno sentito;
5. Discussione dei Sintomi di fronte ad un evento critico; il professionista chiede alla persona che tipo di sentori ha provato e si cerca di spiegare la normalità o meno della situazione affrontata.
6. Fornire Informazioni rispetto a ciò che si è affrontato e come lo si è fatto; in genere si cerca di normalizzare le risposte allo stress e educare le persone a capire quando è il caso di chiedere aiuto, quando cioè i sintomi sono più preoccupanti. In tal senso l’incontro ha anche lo scopo psico-educazionale finalizzato alla futura prevenzione;
7. Nella conclusione si offre una restituzione dell’accaduto, si chiede se si hanno domande e si ringraziano tutti della partecipazione e condivisione dell’esperienza.
Un ulteriore considerazione da fare è quella del contesto all’interno del quale inserire il debriefing.
Ad esempio:
• In azienda questo colloquio può risultare utile dopo una riunione importante, uno scontro o litigio, o per esaminare le restituzioni di una decisione presa o subita;
• Nello sport, in cui è importante esaminare una vincita o una sconfitta importante, al fine di elaborare i vissuti emotivi e tecnici di tali risultati;
• Nei contesti di emergenza, sia sanitarie che meno, per coloro che partecipano direttamente ad eventi potenzialmente traumatici o ad alto livello di stress ( alcuni reparti ospedalieri lo attuano ogni settimana come forma di monitoraggio dell’andamento delle equipe che lavorano in oncologia o neonatologia).
In base al contesto, quindi, il debriefing può avere carattere preventivo, psico-educazionale o espressivo, in quanto offre la possibilità di:
• Trasformare l’esperienza in apprendimento per future situazioni;
• Dare informazioni specifiche su come certi eventi si sarebbero dovuti affrontare
• Avere un posto dove poter esprimere il proprio vissuto emotivo ed elaborarlo. In questo caso specifico è utile da parte del professionista valutare se sia il caso o meno fare ulteriori colloqui di approfondimento o effettuare un follow-up.
Il conduttore del debriefing dovrebbe sempre essere uno psicologo, soprattutto in ambito sanitario, ma in altri contesti può essere il coach sportivo o un direttore di azienda a patto che costoro sappiano riconoscere gli eventuali elementi disturbanti, che caratterialmente siano accoglienti e indirizzare con tatto e sensibilità gli interessati ad uno specialista quando necessitano.
Dalla mia esperienza formativa il debriefing può essere per i professionisti stessi un utile strumento di indagine clinica soprattutto quando sussistono elementi che fanno pensare ai disturbi da stress a diversi livelli determinati dal proprio lavoro o da un eventi specifico.
Educare alla prevenzione è compito del professionista che ha a cuore la salute psico-fisica di coloro che vi partecipano, perché è in questi momenti in cui si possono dare piccoli consigli educativi, normalizzare determinate risposte emotive e presentare i casi in cui è necessario stare più attenti del dovuto; inoltre questi incontri quando sono di gruppo permettono il confronto tra pari e anche di valutare quali sono state le risorse messe in atto per superare i problemi incontrati.
Nella mia esperienza da Psicologa dell’emergenza della Croce Rossa Italiana i Volontari rientrati dal terremoto dell’Abruzzo non hanno sviluppato grande problematiche legate al Disturbo Post Traumatico da Stress, ma alcuni di loro hanno avuto alcune difficoltà rilevate proprio nei debriefing successivi. Molti volontari per qualche settimana hanno continuato a restare in contatto con alcune famiglie aiutate sul posto, tramite i social network o numeri di telefono: se da un lato facevano fatica a lasciar andare chi avevano aiutato, dall’altro non riprendevano subito la routine quotidiana. Il debriefing in questo senso è stato un aiuto a tutti i volontari per elaborare una sorta di lutto, quello di aver lasciato la popolazione in difficoltà e il relativo senso di colpa nel non essere riusciti ad aiutarli fino in fondo. Alcuni di loro hanno necessitato di colloqui individuali, ma quasi tutte le emergenze emotive sono col tempo rientrate.
Bisogna infine ricordare che questo strumento fa parte di un processo più ampio: quello del brifing, colloqui all’inizio di una missione, e quello durate la missione stessa, utili per cogliere in tempo eventuali difficoltà psicologiche. La formazione degli operatori in questo senso è importante che resti costante e che non spaventi la possibilità di restare a casa perché non ritenuti idonei : alcuni problemi emersi nei debriefing era proprio la paura di non essere chiamati ad aiutare in situazioni di emergenza: anche questa motivazione deve fornire lo spunto per elaborare una sottesa difficoltà emotiva importante prima della partenza, e non al ritorno.
Bibliografia
- Giannantonio Michele “Psico-traumatologia e psicologia dell’emergenza”, Ecomin